La letteratura italiana: Beppe Fenoglio

La letteratura italiana: Beppe Fenoglio

Ciao, sono Maria Chiara di ita_ecco e questo è il mio podcast di letteratura italiana. Dieci puntate per dieci autori.

Nella puntata di oggi scopriamo un autore che ho amato molto da ragazza, e i cui racconti rileggo sempre con piacere: Beppe Fenoglio.

Raccontare la biografia di Beppe Fenoglio è abbastanza facile, perché ha vissuto una vita lineare, senza grandi viaggi o scoperte, ma l’unica vera esperienza traumatica, cioè la lotta partigiana, ha saputo descriverla e renderla arte.

Fenoglio nasce ad Alba, nelle Langhe, in Piemonte, nel 1922. È il primo di tre figli e i genitori hanno una macelleria. Beppe non lascerà mai le langhe, salvo per fare il militare, troverà un lavoro stabile lì e lì morirà.

I genitori investono molti soldi per far studiare i figli, così Beppe Fenoglio ha l’opportunità di frequentare il ginnasio e di studiare inglese già da ragazzo. La letteratura inglese lo affascina, perché vi trova un mondo totalmente diverso da quello dell’Italia fascista: per lui la letteratura inglese, soprattutto elisabettiana, è sinonimo di libertà, lontana com’è dal mondo piccolo-borghese o fascista.

La sua adolescenza trascorre tranquilla, tra le traduzioni e gli sport. Dopo il liceo si iscrive alla facoltà di lettere dell’università di Torino senza impegnarsi troppo negli studi, e nel 1943 è chiamato alle armi.

Si trova a Roma quando, l’8 settembre 1943, l’Italia firma l’armistizio e si ritrova con il nuovo nemico in casa. Il re e il generale Badoglio sono fuggiti, i tedeschi considerano gli italiani dei traditori e li trattano come tali. Per Fenoglio l’unica cosa da fare è cercare di ritornare al Nord e nascondersi presso la sua famiglia.

Il lungo e angoscioso percorso da Roma alle Langhe è descritto nel romanzo Primavera di bellezza. In questo breve libro leggiamo pagine davvero suggestive sulla situazione di Roma, precipitata nel caos, con i soldati che cercano in tutti i modi di scappare dai tedeschi con documenti falsi, e personalmente ho vissuto con ansia la descrizione del viaggio in treno, durato tantissime ore, e i controlli dei soldati nazisti sui passeggeri.

Perché lo stile di Fenoglio è diretto, concentrato sulla descrizione dei fatti, eppure avvincente e molto realistico.

Tornato nelle Langhe e disertore del nuovo esercito fascista, Fenoglio si unisce alla lotta partigiana. Si aggiunge a un gruppo delle Brigate Garibaldi, comuniste, con le quali non si troverà bene (come descriverà in un altro suo romanzo, Il partigiano Johnny). Con i partigiani partecipa a diverse azioni, tra le quali quella per la presa della città di Alba, ed è costretto a passare il rigido inverno del 1944-45 da solo in montagna, in attesa di ordini.

Anche questa esperienza sarà narrata nel romanzo il partigiano Johnny, nelle pagine più belle di tutto il libro, almeno secondo me. Passare un inverno da solo, nascondendosi, con la paura di essere traditi, al freddo e senza sapere se arriverà mai la fine della guerra è altrettanto difficile che partecipare ad un’azione guerresca, e anzi forse di più.

In ogni caso, la primavera 1945 arriva e l’Italia viene liberata dalla dittatura fascista. L’esperienza della Resistenza non risveglia in lui né un interesse politico, né un avvicinamento al Partito Comunista, come succede invece per altri intellettuali. La fine della guerra lo getta nello sconforto, perché, come molti partigiani, non riesce a rientrare nel flusso della vita normale. Decide di lasciare l’università, con grande dolore della madre, e si trova un impiego non troppo faticoso in un’azienda vinicola di Alba. Questo gli permette di dedicarsi alla scrittura, ed è così che entra in contatto con Italo Calvino, Elio Vittorini e gli altri della casa editrice Einaudi. A loro manda i suoi primi racconti, alcuni raccolti sotto il nome i ventitré giorni della città di Alba, altri in La malora.

Fenoglio desta entusiasmi, ma anche considerazioni negative: il suo linguaggio è schietto, spesso mischiato al dialetto, da alcuni considerato volgare. Nei suoi racconti non c’è una narrazione edulcorata, cioè addolcita, del mondo dei partigiani, né troviamo delle lezioni morali. Fenoglio descrive la guerra civile e le persone che ne hanno fatto parte per come sono: meschini, ladri, buffoni o sbruffoni, ignoranti. La stessa cosa vale per i contadini delle Langhe. Nonostante il suo amore per la sua terra, i racconti contadini non sono meno crudi di quelli di guerra.

Dal 1953 alla sua morte, che avviene dieci anni dopo per malattia, continua a scrivere, prima per Einaudi e poi per Garzanti, e arriva anche a vincere alcuni premi, nonostante la sua estraneità rispetto al mondo intellettuale e ai circoli letterari.

I romanzi che gli hanno dato la fama sono usciti postumi, cioè dopo la sua morte: Una questione privata nel 1963, il partigiano Johnny nel 1968.

Calvino ha scritto che una questione privata è il libro che tutti gli scrittori avrebbero voluto scrivere, veramente aderente alla corrente Neorealista, con un taglio cinematografico: cosa ancora più sorprendente, se si pensa che nel 1963 l’epoca neorealista si era esaurita, e gli scrittori avevano intrapreso altre strade. È un romanzo che consiglio molto, mentre Il partigiano Johhny è un po’ più difficile da leggere, ma molto interessante per la descrizione del mondo partigiano.

Voglio soffermarmi, però, su un altro libro: un racconto lungo chiamato la paga del sabato, anche lui edito postumo. Il racconto affronta un tema generale, cioè il reinserimento dei giovani nel mondo cosiddetto normale, dopo le atrocità della guerra civile, anche questa volta senza disincanto. Accanto a questo, però, c’è la questione dell’amore: la giovane ragazza dell’ex partigiano è rimasta incinta, perciò l’urgenza di sposarsi, di trovare un lavoro onesto che gli permetta di mantenere la famiglia si fanno più forti.

La vicenda è narrata nello stile di tutti gli altri racconti di Fenoglio: dialoghi diretti e brevi, senza abbellimenti. Nessun commento per indirizzare il lettore nemmeno nelle parti narrate, per esempio quando il padre della ragazza va a picchiare il giovane: questa era la legge non scritta dell’epoca, per quanto brutale. La stessa idea la ritroviamo ne La malora, che aveva preoccupato alcuni critici. Io non sono una critica, ma Fenoglio mi piace, e lo consiglio.

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